Storia
Introduzione
La storia di San Sebastiano non affonda le proprie radici in un passato molto lontano.
È un paese nato dalla strada e dai commerci. Un castello, una piccola cappella dedicata a San Sebastiano, un edificio per la dogana alla Cascina Cabella (dove gli Spinola riscuotevano i pedaggi, ora in Comune di Dernice) e la presenza di posti di ristoro sulla via che da Piacenza conduceva a Genova, favorirono, tra il Quattrocento ed il Cinquecento, il sorgere di un abitato dipendente da Gremiasco nel Feudo Imperiale di Fabbrica Curone, retto prima dai Fieschi e successivamente passato ai Doria.
È un paese nato dalla strada e dai commerci. Un castello, una piccola cappella dedicata a San Sebastiano, un edificio per la dogana alla Cascina Cabella (dove gli Spinola riscuotevano i pedaggi, ora in Comune di Dernice) e la presenza di posti di ristoro sulla via che da Piacenza conduceva a Genova, favorirono, tra il Quattrocento ed il Cinquecento, il sorgere di un abitato dipendente da Gremiasco nel Feudo Imperiale di Fabbrica Curone, retto prima dai Fieschi e successivamente passato ai Doria.
Né mancavano coloro che esercitavano il contrabbando (ovvero lo “sfroso” come silegge nei documenti del tempo), mentre l’agricoltura, data l’esiguità del territorio comunale, aveva un’importanza marginale.
Già alla fine del Cinquecento Tomeno Berruti nella “Cronaca di Tortona” scriveva che “Li abitanti sono tutti traficanti per non avere molte possessioni”, cioè terre coltivabili.
Comunque il paese “…fa vineti bianchi, feni et un poco di formenti asai boni. Ha asai boschi et castagneti et fruti”.
Questo territorio acquistò importanza strategica e commerciale sotto gli Spagnoli, quando il porto di Genova costituiva la base di partenza o di arrivo per gli scambi commerciali con la Spagna e la Pianura Padana.
Così San Sebastiano Curone divenne luogo di incontro e di contrattazioni lungo la Via del Sale (o del Cereale, a seconda delle merci), dove i mulattieri in lunghe carovane, quelli provenienti da Genova e quelli provenienti dallo Stato di Milano, si scambiavano i prodotti: per questo in paese si formò una sorta di “centro logistico” ante litteram, con ampi deposti di merci, locande ed osterie, maniscalchi e sensali.
Questa vocazione commerciale si mantenne viva nel corso dei secoli.
A metà Ottocento, quando fu aperta la strada carrozzabile, San Sebastiano Curone fu autorizzato a tenere tre fiere annuali, nei mesi di Agosto, Settembre ed Ottobre, che poi diventarono due fiere mensili, il secondo ed il quarto mercoledì: erano le più importanti della valle e furono molto frequentate fino agli anni Cinquanta del Novecento.
Vi si svolgeva, in particolare, un attivo mercato del bestiame, prima sul greto del Museglia, poi in uno slargo sulla sponda sinistra, mentre le vie all’interno del paese ed anche la sponda destra del torrente erano occupate da bancarelle, botteghe o depositi.
Già alla fine del Cinquecento Tomeno Berruti nella “Cronaca di Tortona” scriveva che “Li abitanti sono tutti traficanti per non avere molte possessioni”, cioè terre coltivabili.
Comunque il paese “…fa vineti bianchi, feni et un poco di formenti asai boni. Ha asai boschi et castagneti et fruti”.
Questo territorio acquistò importanza strategica e commerciale sotto gli Spagnoli, quando il porto di Genova costituiva la base di partenza o di arrivo per gli scambi commerciali con la Spagna e la Pianura Padana.
Così San Sebastiano Curone divenne luogo di incontro e di contrattazioni lungo la Via del Sale (o del Cereale, a seconda delle merci), dove i mulattieri in lunghe carovane, quelli provenienti da Genova e quelli provenienti dallo Stato di Milano, si scambiavano i prodotti: per questo in paese si formò una sorta di “centro logistico” ante litteram, con ampi deposti di merci, locande ed osterie, maniscalchi e sensali.
Questa vocazione commerciale si mantenne viva nel corso dei secoli.
A metà Ottocento, quando fu aperta la strada carrozzabile, San Sebastiano Curone fu autorizzato a tenere tre fiere annuali, nei mesi di Agosto, Settembre ed Ottobre, che poi diventarono due fiere mensili, il secondo ed il quarto mercoledì: erano le più importanti della valle e furono molto frequentate fino agli anni Cinquanta del Novecento.
Vi si svolgeva, in particolare, un attivo mercato del bestiame, prima sul greto del Museglia, poi in uno slargo sulla sponda sinistra, mentre le vie all’interno del paese ed anche la sponda destra del torrente erano occupate da bancarelle, botteghe o depositi.
Sviluppo dell'abitato e autorità politica sugli abitanti
Ricercare le origini dei nostri paesi, e seguirne le vicende nell'età più antica, non è cosa facile, per l'avvenuta distruzione e la dispersione dei Documenti; vi si aggiunge poi il continuo intrecciarsi di diritti su no stesso luogo di feudatari, comuni, signori di secondo ordine, caratteristico del Medio Evo.
E' stato verso la metà del secolo X che sulle terre della nostra valle comincia ad affermarsi sempre più chiaramente la supremazia anche civile dei Vescovi di Tortona, soprattutto con Gerberto e Giseprando: anche se i Vescovi questa loro autorità erano soliti esercitarla attraverso Feudatari Minori, che non sappiamo a quale Titolo ricevessero quest' Investitura.
Così nel 1349 il Vescovo di Tortona Giacomo Visconti dona il Feudo di Fabbrica, che comprendeva Gremiasco e la frazione di San Sebastiano, ad Opizzino e Federico Malaspina; nel 1485 la ricca famiglia genovese dei Fieschi comprò il Feudo medesimo, per avere un piccolo Regno sulla montagna, come forza nelle lotte intestine, e baluardo sulla via di comunicazione.
A San Sebastiano oggi rimane poco dei Visconti (forse il Castello), più nulla dei Malaspina e dei Fieschi: i Doria invece, investiti del Feudo da Carlo V, nel 1547, vi costruirono un loro Palazzo, quello che ancor oggi si chiama Casa del Principe, adiacente all'Oratorio dei Bianchi; lasciarono i loro Stemmi nelle Chiese e molti ricordi di Archivio.
In questo periodo sorsero pure le principali abitazioni del paese, che recano ancora la data sull'Architrave e la sigla tradizionale dei Portali genovesi.
Ricercare le origini dei nostri paesi, e seguirne le vicende nell'età più antica, non è cosa facile, per l'avvenuta distruzione e la dispersione dei Documenti; vi si aggiunge poi il continuo intrecciarsi di diritti su no stesso luogo di feudatari, comuni, signori di secondo ordine, caratteristico del Medio Evo.
E' stato verso la metà del secolo X che sulle terre della nostra valle comincia ad affermarsi sempre più chiaramente la supremazia anche civile dei Vescovi di Tortona, soprattutto con Gerberto e Giseprando: anche se i Vescovi questa loro autorità erano soliti esercitarla attraverso Feudatari Minori, che non sappiamo a quale Titolo ricevessero quest' Investitura.
Così nel 1349 il Vescovo di Tortona Giacomo Visconti dona il Feudo di Fabbrica, che comprendeva Gremiasco e la frazione di San Sebastiano, ad Opizzino e Federico Malaspina; nel 1485 la ricca famiglia genovese dei Fieschi comprò il Feudo medesimo, per avere un piccolo Regno sulla montagna, come forza nelle lotte intestine, e baluardo sulla via di comunicazione.
A San Sebastiano oggi rimane poco dei Visconti (forse il Castello), più nulla dei Malaspina e dei Fieschi: i Doria invece, investiti del Feudo da Carlo V, nel 1547, vi costruirono un loro Palazzo, quello che ancor oggi si chiama Casa del Principe, adiacente all'Oratorio dei Bianchi; lasciarono i loro Stemmi nelle Chiese e molti ricordi di Archivio.
In questo periodo sorsero pure le principali abitazioni del paese, che recano ancora la data sull'Architrave e la sigla tradizionale dei Portali genovesi.
La peste a San Sebastiano e il voto dell'8 Maggio 1631
Tuttora con solennità, S.Sebastiano celebra la festa del Voto, fatto l' 8 maggio del 1631 e rivive così l'avvenimento storico di quel tempo.
Dall'analisi delle condizioni ambientali in cui si trovava il borgo ed i paesi dell'ampia distesa della valle, e tenendo presenti le pessime condizioni igieniche, le strettezze e l'angosciosa miseria del momento, si può comprendere come la peste abbia potuto svilupparsi nel genovesato, e particolarmente nei nostri paesi, feudo dei Doria.
Quando si ebbero i primi casi di peste, le Autorità civili per fronteggiare l'epidemia, vietarono il commercio delle cose usate ed il contatto con qualunque persona sospetta. Furono, inoltre, sospesi i mercati, gli affari e i traffici normali.
Per trasferirsi fuori del paese era necessario essere muniti di un lasciapassare rilasciato dai "Conservatores Sanitatis S.Sebastiani" (tutori della sanità pubblica di S.Sebastiano).
In questo periodo, ogni paese perse il suo aspetto concreto e tutto il ritmo della vita si andò improntando alle precarie condizioni della salute pubblica.
Per evitare ogni contatto pericoloso, i mercanti porgevano la merce attraverso un'apertura e ricevevano il danaro in recipienti pieni di aceto: a quest'ultimi infatti, era attribuito una specifica azione disinfettante.
Diversi abbandonavano il centro abitato per portarsi in aperta campagna.
E' facile immaginare il tormento angoscioso a cui fu assoggettato il parroco Don Giacomo Gatti nell'esercizio del suo ministero, animato dallo spirito di carità cristiana. Noncurante del continuo pericolo, che ovunque lo circondava, affrontava il rischio del contagio per amministrare agli appestati i sacramenti.
Anche se dal Registro dei Defunti dell'Archivio parrocchiale risulta che i Morti nel 1631 furono solo otto (media annuale), non si può escludere che la peste non si sia diffusa nel paese di S.Sebastiano, ma si deve ammettere che il Voto sia stato fatto perchè, confidando nell'intercessione del Santo, il borgo era stato realmente preservato immune dalla "morti fera peste", ossia nessuno è stato colpito mortalmente dal contagio.
Molto diffusa era la diceria che la peste fosse portata dagli untori, i quali, per malvagio proposito, andavano spargendo per le case l'infezione.
Il Giani nella sua "Cronistoria"racconta:
"Il popolo era radunato in una domenica nella chiesa per impetrare la cessazione del morbo.
Una vecchietta che era rimasta in casa dirimpetto alla Chiesa, avrebbe osservato dalla finestra, mentre pregava, che alcuni messeri, male in arnese, si accingevano con circospezione nei pressi della Chiesa, imbrattandone le mura e le porte con un liquido giallo oscuro.
Erano gli untori, che spargevano il veleno pestifero per procurare la morte del popolo all'uscita del tempio. Essa allora con grida, avrebbe trattenuto nella Chiesa la popolazione.
I fedeli atterriti, si ritrassero e con nuove preci invocarono S.Sebastiano che li proteggesse, e questi, mosso a pietà, avrebbe fatto in modo che il cielo si oscurasse, e che tuoni e lampi precedessero un temporale, che scaricò tale acqua torrenziale da lavare le mura e le porte infette. Così il popolo poté incolume lasciare il tempio."
Questa leggenda è stata affidata alla memoria e tramandata a noi fino ad oggi. Anche la leggenda è fonte di storia e conferma che la peste si è diffusa anche in S.Sebastiano.
Autorità e popolo, memori dell'intervento divino, che li ha preservati dalla "mortifera peste", hanno fatto "Voto" di celebrare il giorno otto maggio quale giorno festivo di precetto.
Verso la fine del 1700, il governo piemontese provocò dalla S.Sede la restrizione delle feste di precetto; fu questa pubblicata nel 1786 da Mons. Peyretti, e nel 1789 da Mons. Fassati.
Questa riduzione fu ottenuta dalla Repubblica di Genova nel 1783; dai Marchesi Malaspina per i loro feudi nel 1787.
La S.Sede ha dato facoltà ai Vescovi, nelle loro diocesi di ripristinare le feste soppresse per giusti motivi.
Le Autorità comunali, mossi dal desiderio di continuare nell'adempiere il "Voto", inviarono al vescovo la seguente lettera:
"Eccellenza Rev. ma,
la popolazione del Comune di S.Sebastiano nell'anno 1631, all'oggetto di essere dalla mano di Dio preservata dalla mortifera pestilenza, che si era manifestata nel genovesato, e indi ampliata e distesa ben poco lungi da questo Borgo, privando di vita moltitudine di viventi, fece voto a S.Sebastiano, Titolare e Protettore di questa Parrocchia di celebrare gli 8 Maggio d'ogni anno in perpetuo, festa particolare di voto in memoria d'essere stata preservata per mezzo dell'invocato Santo da tale infortunio e flagello.
La grazia implorata, mercè la misericordia e bontà dell'Altissimo, intieramente si ottenne, e questa popolazione d'allora in poi osservò la celebrazione della festa votata in rendimento di grazie. Nell'anno 1731 il voto fu rinnovato, e si proseguì a fare la detta festa, in modo che tuttora si continua sullo stesso proposito. Ma siccome nella riduzione delle feste venne ad essere abolita, e desiderando ora questi abitanti, per essere cosa assai conveniente, di ottenere la conferma ed approvazione del fatto voto col precetto della messa, e coll' astensione dalle opere servili, per maggiormente uniformarsi alle opere degli Istitutori, onde per questo appunto hanno stimato di ricorrere come a V.E. Rev.ma fanno ricorso.
Umilmente supplicandola a volersi degnare di accordare la di Lei approvazione alla celebrazione della festa del voto fatto a S.Sebastiano, che corre gli otto Maggio di ciaschedun anno, per avere un legittimo titolo nella celebrazione di detta festa, con dare quelle provvidenze benevise a V.E. alla quale fanno umile e profonda riverenza.
Serravalle -Sindaco
Avv. Ant. M. Giani -Consigliere
Paolo M. Callegari -Consigliere
Giocondo Serravalle -Consigliere"
Il Vescovo Mons. Carlo Francesco Carnevale rispose acconsentendo, il 29 luglio 1822 da Montecapraro, dove si trovava in visita pastorale:
“It Veris existentibus narratis, et quia agitur de adimplendo voto, quod fecit populus oppidi S.Sebastiani temporibus in precibus enunciatis, benigniter annuimus pro continuatione adimplendi ipsiusmet voti eo pIane modo quo antea His celebratur temporibus in honorem et ad implorandam protectionem S.Sebastiani reservandis servatis. Datum Montis Caprari occasione visitationis pastoralis die 29 Iulii anno 1822.
Carlo Francesco, Vescovo"
"Constatando la veridicità di quanto venne esposto, e trattandosi di adempiere un voto, che il popolo del borgo di S.Sebastiano ha fatto nei tempi enunciati nella supplica, benignamente acconsentiamo che si continui ad adempiere lo stesso voto nel modo con cui si celebrava nel passato, per onorare ed implorare la protezione di S.Sebastiano, osservando le dovute prescrizioni. Data Montecapraro, in occasione della visita pastorale, il giorno 29 Luglio dell'anno 1822.)
Giò Batt. Giacobone -Consigliere"
Tuttora con solennità, S.Sebastiano celebra la festa del Voto, fatto l' 8 maggio del 1631 e rivive così l'avvenimento storico di quel tempo.
Dall'analisi delle condizioni ambientali in cui si trovava il borgo ed i paesi dell'ampia distesa della valle, e tenendo presenti le pessime condizioni igieniche, le strettezze e l'angosciosa miseria del momento, si può comprendere come la peste abbia potuto svilupparsi nel genovesato, e particolarmente nei nostri paesi, feudo dei Doria.
Quando si ebbero i primi casi di peste, le Autorità civili per fronteggiare l'epidemia, vietarono il commercio delle cose usate ed il contatto con qualunque persona sospetta. Furono, inoltre, sospesi i mercati, gli affari e i traffici normali.
Per trasferirsi fuori del paese era necessario essere muniti di un lasciapassare rilasciato dai "Conservatores Sanitatis S.Sebastiani" (tutori della sanità pubblica di S.Sebastiano).
In questo periodo, ogni paese perse il suo aspetto concreto e tutto il ritmo della vita si andò improntando alle precarie condizioni della salute pubblica.
Per evitare ogni contatto pericoloso, i mercanti porgevano la merce attraverso un'apertura e ricevevano il danaro in recipienti pieni di aceto: a quest'ultimi infatti, era attribuito una specifica azione disinfettante.
Diversi abbandonavano il centro abitato per portarsi in aperta campagna.
E' facile immaginare il tormento angoscioso a cui fu assoggettato il parroco Don Giacomo Gatti nell'esercizio del suo ministero, animato dallo spirito di carità cristiana. Noncurante del continuo pericolo, che ovunque lo circondava, affrontava il rischio del contagio per amministrare agli appestati i sacramenti.
Anche se dal Registro dei Defunti dell'Archivio parrocchiale risulta che i Morti nel 1631 furono solo otto (media annuale), non si può escludere che la peste non si sia diffusa nel paese di S.Sebastiano, ma si deve ammettere che il Voto sia stato fatto perchè, confidando nell'intercessione del Santo, il borgo era stato realmente preservato immune dalla "morti fera peste", ossia nessuno è stato colpito mortalmente dal contagio.
Molto diffusa era la diceria che la peste fosse portata dagli untori, i quali, per malvagio proposito, andavano spargendo per le case l'infezione.
Il Giani nella sua "Cronistoria"racconta:
"Il popolo era radunato in una domenica nella chiesa per impetrare la cessazione del morbo.
Una vecchietta che era rimasta in casa dirimpetto alla Chiesa, avrebbe osservato dalla finestra, mentre pregava, che alcuni messeri, male in arnese, si accingevano con circospezione nei pressi della Chiesa, imbrattandone le mura e le porte con un liquido giallo oscuro.
Erano gli untori, che spargevano il veleno pestifero per procurare la morte del popolo all'uscita del tempio. Essa allora con grida, avrebbe trattenuto nella Chiesa la popolazione.
I fedeli atterriti, si ritrassero e con nuove preci invocarono S.Sebastiano che li proteggesse, e questi, mosso a pietà, avrebbe fatto in modo che il cielo si oscurasse, e che tuoni e lampi precedessero un temporale, che scaricò tale acqua torrenziale da lavare le mura e le porte infette. Così il popolo poté incolume lasciare il tempio."
Questa leggenda è stata affidata alla memoria e tramandata a noi fino ad oggi. Anche la leggenda è fonte di storia e conferma che la peste si è diffusa anche in S.Sebastiano.
Autorità e popolo, memori dell'intervento divino, che li ha preservati dalla "mortifera peste", hanno fatto "Voto" di celebrare il giorno otto maggio quale giorno festivo di precetto.
Verso la fine del 1700, il governo piemontese provocò dalla S.Sede la restrizione delle feste di precetto; fu questa pubblicata nel 1786 da Mons. Peyretti, e nel 1789 da Mons. Fassati.
Questa riduzione fu ottenuta dalla Repubblica di Genova nel 1783; dai Marchesi Malaspina per i loro feudi nel 1787.
La S.Sede ha dato facoltà ai Vescovi, nelle loro diocesi di ripristinare le feste soppresse per giusti motivi.
Le Autorità comunali, mossi dal desiderio di continuare nell'adempiere il "Voto", inviarono al vescovo la seguente lettera:
"Eccellenza Rev. ma,
la popolazione del Comune di S.Sebastiano nell'anno 1631, all'oggetto di essere dalla mano di Dio preservata dalla mortifera pestilenza, che si era manifestata nel genovesato, e indi ampliata e distesa ben poco lungi da questo Borgo, privando di vita moltitudine di viventi, fece voto a S.Sebastiano, Titolare e Protettore di questa Parrocchia di celebrare gli 8 Maggio d'ogni anno in perpetuo, festa particolare di voto in memoria d'essere stata preservata per mezzo dell'invocato Santo da tale infortunio e flagello.
La grazia implorata, mercè la misericordia e bontà dell'Altissimo, intieramente si ottenne, e questa popolazione d'allora in poi osservò la celebrazione della festa votata in rendimento di grazie. Nell'anno 1731 il voto fu rinnovato, e si proseguì a fare la detta festa, in modo che tuttora si continua sullo stesso proposito. Ma siccome nella riduzione delle feste venne ad essere abolita, e desiderando ora questi abitanti, per essere cosa assai conveniente, di ottenere la conferma ed approvazione del fatto voto col precetto della messa, e coll' astensione dalle opere servili, per maggiormente uniformarsi alle opere degli Istitutori, onde per questo appunto hanno stimato di ricorrere come a V.E. Rev.ma fanno ricorso.
Umilmente supplicandola a volersi degnare di accordare la di Lei approvazione alla celebrazione della festa del voto fatto a S.Sebastiano, che corre gli otto Maggio di ciaschedun anno, per avere un legittimo titolo nella celebrazione di detta festa, con dare quelle provvidenze benevise a V.E. alla quale fanno umile e profonda riverenza.
Serravalle -Sindaco
Avv. Ant. M. Giani -Consigliere
Paolo M. Callegari -Consigliere
Giocondo Serravalle -Consigliere"
Il Vescovo Mons. Carlo Francesco Carnevale rispose acconsentendo, il 29 luglio 1822 da Montecapraro, dove si trovava in visita pastorale:
“It Veris existentibus narratis, et quia agitur de adimplendo voto, quod fecit populus oppidi S.Sebastiani temporibus in precibus enunciatis, benigniter annuimus pro continuatione adimplendi ipsiusmet voti eo pIane modo quo antea His celebratur temporibus in honorem et ad implorandam protectionem S.Sebastiani reservandis servatis. Datum Montis Caprari occasione visitationis pastoralis die 29 Iulii anno 1822.
Carlo Francesco, Vescovo"
"Constatando la veridicità di quanto venne esposto, e trattandosi di adempiere un voto, che il popolo del borgo di S.Sebastiano ha fatto nei tempi enunciati nella supplica, benignamente acconsentiamo che si continui ad adempiere lo stesso voto nel modo con cui si celebrava nel passato, per onorare ed implorare la protezione di S.Sebastiano, osservando le dovute prescrizioni. Data Montecapraro, in occasione della visita pastorale, il giorno 29 Luglio dell'anno 1822.)
Giò Batt. Giacobone -Consigliere"